Sentenza Corte Costituzionale n. 22 del 24.01.2018 - SemaforoVerde Circolazione Stradale

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N. 22 SENTENZA 24 gennaio - 9 febbraio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Circolazione stradale - Patente di guida - Revoca automatica, da parte dell'autorita' amministrativa, in correlazione a condanne per reati in materia di stupefacenti successive all'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, anche se per fatti commessi anteriormente. - Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), art. 120, commi 1 e 2, come sostituito dall'art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
Gazzetta Ufficiale n. 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.7 del 14-2-2018


La corte costituzionale
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 120, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992,  n.  285  (Nuovo  codice della strada), come sostituito dall'art. 3,  comma  52,  lettera  a), della legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di sicurezza pubblica), promossi dal Tribunale amministrativo  regionale per il Friuli-Venezia Giulia con ordinanza del 17 dicembre 2015 e dal Tribunale ordinario di Genova con ordinanze del 16 giugno 2016 e  del 30 marzo 2017,  iscritte, rispettivamente,  ai  nn.  20  e  210  del registro ordinanze 2016 e al n. 97  del  registro  ordinanze  2017  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  nn.  6 e  43, prima serie speciale, dell'anno 2016 e n. 28, prima  serie  speciale, dell'anno 2017.
   Visti gli atti di costituzione di G. C. e di D. B.,  nonche'  gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 2018 e nella camera di consiglio del 24 gennaio  2018  il  Giudice  relatore  Mario  Rosario Morelli;
   uditi gli avvocati Federico Carnelutti e Giovanni  Giavedoni  per G. C., Raniero Raggi per D.  B.  e  l'avvocato  dello  Stato  Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio civile cautelare - avente ad oggetto istanza di sospensione dell'efficacia del  provvedimento  prefettizio di revoca della  patente  di  guida, adottato  nei  confronti  della ricorrente, in quanto non piu' in  possesso  dei  «requisiti  morali» previsti dall'art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall'art. 3,  comma  52, lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in materia di sicurezza pubblica) - il Tribunale ordinario di Genova, in composizione collegiale, adito in  sede  di  reclamo  dei  competenti ministeri avverso il provvedimento di sospensione, adottato in prima istanza,  ha  ritenuto  rilevante,  al  fine  del  decidere,  e   non manifestamente infondata - ed ha per cio' sollevato  con  l'ordinanza in  epigrafe  (r.o.  n.  210 del  2016)  -  duplice   questione   di legittimita' costituzionale del combinato disposto dei commi  1  e  2 del predetto art. 120 del codice della strada,  in  riferimento agli artt. 11  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in  relazione all'art.  7  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955, n. 848, nonche' agli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost. Con la prima questione, il Tribunale rimettente chiede  a  questa Corte di accertare se  il  novellato  art.  120  cod.  strada  -  nel prevedere l'applicabilita' della revoca della patente  di  guida  nei confronti di soggetti condannati, per reati previsti dagli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei relativi stati di tossicodipendenza), ancorche'  commessi  (come  nel caso della ricorrente del giudizio a quo) in data anteriore a  quella (8 agosto) di entrata in vigore della novella del 2009 - non leda  il principio di irretroattivita' delle sanzioni penali, riferibile anche alle sanzioni,  come  quella  prevista  dalla  norma  denunciata,  da ritenere «sostanzialmente» tali, poiche'  seriamente  afflittive,  in applicazione della giurisprudenza della  Corte  europea  dei  diritti dell'uomo. Dal che, appunto, la sospettata violazione degli artt.  11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 della CEDU.
La  seconda  questione  investe  l'"automatismo"   della   revoca prefettizia, che la normativa censurata ricollega alla  condanna  per reati,  in  materia  di stupefacenti,  con  riguardo  ai  quali   la disciplina speciale (art. 85 dello stesso d.P.R.  n.  309  del  1990) prevede, invece, che sia il giudice penale a decidere se applicare  o meno (e per quale  durata)  la  pena  accessoria  del  «ritiro  della patente».
Il che evidenzierebbe, secondo il  giudice  a  quo,  «profili  di irragionevolezza e di [...] disparita'  di  trattamento»,  rilevanti, «oltre che per l'incidenza sulla liberta' personale e sulla  liberta' di circolazione [...], anche dal punto di vista della sottrazione del soggetto  al  giudice  naturale  e  ad  un  giusto   processo»,   con conseguente violazione degli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost.
1.1.- Nel giudizio innanzi a questa Corte  si  e'  costituita  la parte  privata,  per  chiedere  «che  sia  accolta  la  questione  di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale di  Genova»,  con riferimento sia all'uno che all'altro profilo di censura, ribadendo e argomentando con successiva memoria tale conclusione.
1.2.- E' intervenuto, altresi', il Presidente del  Consiglio  dei ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello Stato,  che  ha  viceversa  escluso  la fondatezza  di  entrambe  le questioni in  esame.  Nel  sollevarle,  il  rimettente  non  avrebbe, infatti, considerato che «il decreto  di  revoca  della  patente  non costituisce [...] una conseguenza accessoria della violazione di  una disposizione del Codice della strada, bensi' consegue alla  accertata inesistenza originaria o sopravvenuta dei requisiti morali prescritti per il conseguimento della patente»: requisiti «necessari ad ottenere [e mantenere] il permesso di guida, stante la preminente  necessita' di privare della patente di guida oggetti coinvolti nel  traffico  di sostanze stupefacenti».
2.- Il Tribunale amministrativo regionale per  il  Friuli-Venezia Giulia - nel corso di altro giudizio avente  ad  oggetto  istanza  di annullamento di un provvedimento prefettizio di revoca della  patente a  seguito  di  condanna  del  titolare  per  reati  in  materia   di stupefacenti - ha sollevato, a sua  volta  (r.o.  n.  20  del  2016), questione di legittimita' costituzionale del novellato art. 120  cod. strada, in relazione al  (solo)  profilo  dell'  "automatismo"  della revoca ed in riferimento all'art. 27, oltre che all'art. 3, Cost.
2.1.- Anche in questo giudizio si e' costituito il ricorrente nel processo a  quo,  il  quale  ha  concluso  per  l'accoglimento  della questione  sollevata  dal  Tribunale rimettente  e,  con  successiva memoria, ha ribadito e ulteriormente argomentato tale conclusione.
2.2.- E', altresi', intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito l'inammissibilita' della sollevata questione e, nel merito, ne ha contestato la fondatezza.
3.- Il Tribunale ordinario di Genova, in composizione monocratica - adito,  «dopo  declinatoria  di  giurisdizione  da  parte  del  TAR Liguria», con ricorso ai sensi dell'art. 700 del codice di  procedura civile, avverso  altro  provvedimento  prefettizio  di  revoca  della patente - ha nuovamente sollevato, con successiva ordinanza (r.o.  n. 97 del 2017), questione di legittimita' costituzionale  del  predetto art. 120 cod. strada «nella parte  in  cui:  1)  non  consente  una valutazione discrezionale della durata dell'inibitoria o  revoca  del titolo abilitativo alla guida, commisurata alla  gravita'  dei  fatti per  cui  e'  stata  inflitta  condanna  e  delle  pene  in  concreto comminate; 2) prevede l'applicazione delle limitazioni al  rilascio o uso del titolo abilitativo  alla  guida  anche  nei  confronti  dei condannati per l'art. 73 TU 309/90  a cui  sia  stata  applicata  la sospensione  condizionale  della  pena,  determinando  ingiustificata disparita'  di  trattamento  rispetto  ad  ogni  altra  categoria  di condannati con pena sospesa; 3) prevede diversa decorrenza e durata del divieto di conseguimento della  patente,  o  della  durata  della revoca, tra condannati  per fatti  di  stupefacenti  che  richiedano l'ammissione all'esame abilitativo  e  condannati  gia'  titolari  di patente di guida;  4)  prevede  diversa  decorrenza  e  durata del divieto di conseguimento della patente, o della durata della  revoca, tra condannati per fatti  di  stupefacenti  (con  pena  sospesa)  che richiedano l'ammissione all'esame abilitativo, e condannati (con pena sospesa) gia' titolari di patente di guida».
In motivazione della suddetta ordinanza (che si conclude  con  il trascritto dispositivo, che non indica i parametri costituzionali  in tesi violati), il giudice a quo premette di  "far  propri"  tutti  i profili di incostituzionalita' dell'art. 120 cod. strada  evidenziati nelle (da lui  richiamate)  precedenti  ordinanze  del  Tribunale  di Genova (in composizione collegiale) e del TAR Friuli-Venezia  Giulia. Precisa, quindi, che «intende  solo  aggiungere  a  tali  dubbi  gia' palesati - e prospettare alla Corte - ulteriori corollari sui profili di  incompatibilita'  dell'art.  120  in  questione  con  i  principi costituzionali messi in luce nei  due  richiamati  provvedimenti  dei Tribunali rimettenti» (artt. 3, 16, 25, 27 e 111 Cost.).
E, a tal fine, argomenta che il carattere sostanzialmente  penale delle limitazioni previste dalla disposizione  denunciata  troverebbe conferma dal rilievo che, ai fini dell'ottenimento della  patente  di guida, essa attribuisce alla riabilitazione, e cioe' all'istituto che fa venir meno «gli effetti penali» della condanna; sostiene  poi  che
del tutto irragionevole sarebbe il trattamento  "piu'  gravoso",  che l'art. 120 riserva ai soggetti  condannati  che  non  abbiano  ancora conseguito la patente di guida rispetto a quello  riguardante  coloro cui la patente di guida sia stata revocata; aggiunge  ancora  che  la revoca o l'inibitoria all'esame di guida, senza modulazione di durata e  senza  sospensione,  costituirebbe   un   «macigno   difficilmente valicabile» sul  percorso  riabilitativo  dei  condannati  per  reati connessi agli stupefacenti che abbiano  usufruito  della  sospensione condizionale della pena.
3.1.- L'Avvocatura generale dello Stato - per il  Presidente  del Consiglio dei ministri, anche in questo  giudizio  intervenuto  -  ha eccepito l'inammissibilita' per irrilevanza, ovvero  per  difetto  di motivazione  sulla  rilevanza,  delle  questioni  sollevate   e,   in subordine,  ne  ha  contestato  la  fondatezza,  per  erroneita'  del correlativo presupposto ermeneutico.

Considerato in diritto

1.- L'art. 120 del decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall'art. 3,  comma  52, lettera a), della legge  15  luglio 2009,  n.  94  (Disposizioni  in materia di sicurezza pubblica), sotto la  rubrica  «Requisiti  morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all'art. 116», nei suoi commi 1, 2 e 3, cosi' testualmente dispone:
«1. Non possono conseguire la  patente  di  guida  i  delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti  a  misure  di  sicurezza personali  [...],  le   persone condannate per i reati [in materia di stupefacenti] di cui agli artt. 73 e 74 del testo unico  di  cui  al  decreto  del  Presidente  della Repubblica 9 ottobre  1990,  n.  309,  fatti  salvi  gli  effetti  di provvedimenti riabilitativi [...]»;
«2. [...] se le condizioni soggettive indicate al  primo  periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva  al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida. La revoca non puo' essere disposta se sono trascorsi piu'  di  tre  anni dalla data  [...]  del  passaggio  in  giudicato  della  sentenza  di
condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1»;
«3. [l]a persona destinataria del provvedimento di revoca di  cui al comma 2 non puo' conseguire una nuova patente di guida  prima  che siano trascorsi almeno tre anni».
2.- Le tre ordinanze, di cui si e' in narrativa detto, convergono nel denunciare, per contrasto con i parametri costituzionali in  esse rispettivamente evocati, la  disposizione  di  cui  al  comma  2,  in correlazione al precedente comma 1, dell'art. 120  del  codice  della strada, con specifico ed esclusivo riguardo alla revoca della patente di  guida  che  consegua  a  condanna  per  reati   in   materia   di stupefacenti. E, per tale comunanza di oggetto, possono riunirsi, per essere decise con unica sentenza.
3.-   Preliminarmente,   va   pero'   dichiarata   la   manifesta inammissibilita'   della   questione    sollevata    dal    Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia (r.o. n. 20 del 2016).  Cio'  in  quanto  detto  giudice  difetta   ictu   oculi   di giurisdizione. Per  risalente  e  consolidata  giurisprudenza  della  Corte   di cassazione, giudice regolatore della giurisdizione,  i  provvedimenti adottati ai sensi dell'art. 120 cod.  strada  (incidenti  su  diritti soggettivi non degradabili ad interessi legittimi per  effetto  della loro  adozione,   ne'   inerenti   a   materia   riconducibile   alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo)  sono  riservati, infatti, alla cognizione del giudice ordinario  (ex  multis,  sezioni unite, sentenze 14 maggio 2014, n. 10406; 6 febbraio 2006,  n.  2446; e, analogamente in tema di sospensione della patente, 27 aprile 2005, n. 8693; 11 febbraio 2003, n. 1993; 8 luglio 1996, n. 6232). E rispetto a tale univoco orientamento, il rimettente non spende alcuna  -  sia  pur  solo  "non  implausibile"  -  motivazione,   per prospettarne  la  superabilita',  a  sostegno  della  sua   (pertanto manifestamente non  sussistnte)  legittimazione  a  sollevare,  come giudice a quo, la questione suddetta.
4.- Anche le questioni  sollevate  dal  giudice  monocratico  del Tribunale  ordinario  di  Genova  (r.o.  n.  97   del   2017),   sono manifestamente inammissibili.
Prive di rilevanza - nel giudizio a quo avente,  come  detto,  ad oggetto un provvedimento di revoca della patente  di  guida  -  sono, infatti, le questioni relative ad asseriti (non  pertinenti)  profili di deteriore trattamento dei soggetti che intendano  conseguire,  per la prima  volta,  il  titolo  abilitativo.  Sono  poi  carenti  della descrizione della fattispecie concreta,  ai  fini  della  motivazione sulla rilevanza, le questioni  che  il  rimettente  dichiara  di  far proprie, mutuandole dalle precedenti ordinanze di altri giudici,  cui all'uopo rinvia. E,  comunque,  tutte  le  (non  sempre  chiaramente) adombrate questioni risultano  aggregate  in  dispositivo,  ma  senza indicazione alcuna dei parametri di rispettivo riferimento.
5.- La sola ordinanza  (r.o.  n.  210  del  2016)  del  Tribunale ordinario di Genova, in composizione collegiale, supera,  dunque,  il vaglio di ammissibilita' delle questioni sollevate.
Il thema decidendum segnato da detta ordinanza ha, come detto, un duplice oggetto.
5.1.- Per un verso il rimettente denuncia, infatti, il  combinato disposto dei commi 1 e 2 del novellato art. 120  cod.  strada,  nella parte in cui ne  conseguirebbe  la  revocabilita'  della  patente  di guida, anche in via retroattiva, in correlazione  a  condanne  bensi' successive  all'entrata  in  vigore  della  novella  del   2009,   ma concernenti reati (in materia di stupefacenti) commessi  (come  nella specie) anteriormente a tale data; e ne prospetta  il  contrasto  con gli artt. 11 e 117, primo comma,  della  Costituzione,  in  relazione all'art.  7  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955, n. 848, per lesione del principio di irretroattivita' delle  sanzioni sostanzialmente penali sancito  dalla  evocata  norma  convenzionale, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.
5.2.- Sotto altro e piu' generale profilo, dubita poi  lo  stesso giudice che l'"automatismo" della revoca del titolo di guida, che  la normativa censurata direttamente ricollega  ad  intervenuta  condanna per i reati in questione, violi gli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost.,  per essere connotato da «profili di  irragionevolezza  e  di conseguente disparita' di trattamento»,  rilevanti  «oltre  che  per  l'incidenza sulla liberta' personale e sulla liberta' di circolazione [...] anche dal punto di vista della sottrazione del soggetto al giudice naturale e ad un giusto processo».
E, in relazione a tale secondo profilo, il Tribunale ordinario di Genova sottolinea le rilevanti «conseguenze negative» che  -  per  la ricorrente (la quale, da sola, «deve accompagnare  presso  istituti dislocati in luoghi diversi le tre figlie minori, una delle quali con problemi  di  salute  che  comportano   un   periodico monitoraggio ospedaliero») - avrebbe la revoca della patente, disposta a ben  otto anni di distanza dalla commissione del  reato  di  cui  all'art.  73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre  1990, n. 309 (Testo unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina  degli stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), fatto lieve, in relazione al  quale  il  giudice  penale  aveva  ritenuto  di  non disporre il ritiro del titolo di guida ex art. 85 del medesimo d.P.R. n. 309 del 1990.
6.- Nell'incipit del percorso argomentativo relativo  alla  prima delle due cosi' sollevate questioni, il Tribunale ordinario di Genova muove dalla considerazione che la «sanzione della revoca», di cui  al censurato  art.  120  cod.  strada,  non  abbia  «carattere   penale» nell'ordinamento interno (e non chiami per cio' in gioco  i principi di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.); ma si pone poi il  quesito - cui da' risposta affermativa - «se la revoca sia una vera e propria sanzione in senso sostanziale» alla  stregua  dei  cosiddetti  «Engel criteria», enucleabili dalla giurisprudenza della Corte  europea  dei diritti dell'uomo. Dal che l'evocazione del parametro  interposto  di cui all'art. 7  della  CEDU,  ai  fini  della  denunciata  violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., e dell'art. 11 Cost., quest'ultimo impropriamente pero' richiamato (sentenze n. 210 del 2013 e n. 80 del 2011).
6.1.- La natura di «sanzione» della revoca della patente, qui  in esame, e' pero' erroneamente presupposta dal rimettente. Come piu' volte ribadito dalla Corte di legittimita' (per  tutte, sezioni unite civili, sentenza 14  maggio  2014,  n.  10406;  sezione seconda civile, ordinanza 4 novembre 2010, n. 22491), la revoca della
patente, nei casi previsti dall'art. 120  in  esame,  non  ha  natura sanzionatoria,   ne'   costituisce   conseguenza   accessoria   della violazione di una disposizione in tema di circolazione  stradale,  ma rappresenta la constatazione  dell'insussistenza  (sopravvenuta)  dei «requisiti morali» prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione.
Vale a dire che, diversamente dal "ritiro" della patente disposto dal giudice penale ai sensi dell'art. 85 del d.P.R. n. 309 del  1990, la  "revoca"  del  titolo  in  via amministrativa,   di   cui   alla disposizione  censurata,  non  risponde  ad  una  funzione  punitiva, retributiva o dissuasiva  dalla  commissione  di  illeciti  e  trova, viceversa, la  sua  ratio  nell'individuazione  di  un  perimetro  di affidabilita' morale del soggetto, cui e' rilasciata  la  patente  di guida, e nella selezione di ipotesi  in presenza  delle  quali  tale affidabilita' viene meno. Per cui  quelli  che  vengono,  nel  nostro caso, in rilievo sono, appunto, solo effetti riflessi della  condanna penale, in settori ordinamentali diversi da quello cui e' affidata la funzione repressiva  degli  illeciti  con  le  misure  afflittive  al riguardo previste.
Esclusa cosi', in radice, la natura sanzionatoria della revoca in via amministrativa della patente, risulta non pertinente l'evocazione della  giurisprudenza   della   Corte europea   sui   criteri   per l'attribuibilita' di natura sostanzialmente penale a  "sanzioni"  non formalmente tali. Mentre - nella  logica  (appunto  non  punitiva  ma individuativa delle condizioni soggettive ostative al conseguimento o al mantenimento del permesso di guida) che ispira la novella del 2009 -  la  revoca  della  patente anche  per  reati,   in   materia   di stupefacenti, commessi anteriormente alla  entrata  in  vigore  della disposizione impugnata, per i quali la condanna  sia  pero' comunque intervenuta  dopo  tale  data,  attiene  al   piano   degli   effetti riconducibili all'applicazione ratione temporis della norma stessa. Dal che la non fondatezza della questione sin qui esaminata.
7.- La seconda questione - relativa all'automatismo della  revoca della patente, da parte dell'autorita'  amministrativa,  in  caso  di sopravvenuta condanna del suo titolare,  per  reati  in  materia  di stupefacenti - e', invece, fondata per  violazione  dei  principi  di eguaglianza, proporzionalita' e  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3 Cost.
La   disposizione   denunciata   -   sul   presupposto   di   una indifferenziata  valutazione  di  sopravvenienza  di  una  condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione  alla  guida  - ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varieta' di fattispecie,  non  sussumibili  in termini di omogeneita', atteso che  la  condanna,  cui  la  norma  fa riferimento, puo' riguardare reati di diversa, se non addirittura  di lieve, entita'. Reati che, per di piu', possono (come  nella  specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data  di  definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l'attitudine a fondare,  nei confronti del condannato,  dopo  un  tale  intervallo  temporale,  un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione  alla  guida, riferito,  in  via  automatica, all'attualita'.
Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame e', poi, ravvisabile nell'automatismo della  "revoca"  amministrativa rispetto alla discrezionalita' della parallela  misura  del  "ritiro" della patente che, ai sensi dell'art. 85 del d.P.R. n. 309 del  1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in  questione  «puo'
disporre», motivandola, «per un periodo non superiore a tre anni».
E' pur vero che tali due misure - come gia' evidenziato - operano su piani diversi e rispondono a diverse finalita'. Ma la contraddizione non sta nel fatto che la condanna per  reati in materia di stupefacenti possa rilevare come condizione  soggettiva ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida,  agli
effetti   della   sua   revocabilita'   da    parte    dell'autorita' amministrativa, anche quando il giudice  penale  (non  ritenendo  che detto titolo sia strumentale al reato commesso o che possa  agevolare la commissione  di  nuovi  reati)  decida  di  non  disporre  (ovvero disponga per un piu' breve periodo) la sanzione accessoria del ritiro della patente.
La contraddizione  sta,  invece,  in  cio'  che  -  agli  effetti dell'adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur  si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente  negativo  sulla  titolarita'  della  patente)  - mentre il giudice penale ha la "facolta'" di disporre, ove lo ritenga
opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il "dovere" di disporne la revoca.
Per tali profili di contrasto  con  l'art.  3  Cost.  (nei  quali restano  assorbite  le  altre  formulate   censure)   va,   pertanto, dichiarata l'illegittimita'  costituzionale dell'esaminato  comma  2 dell'art. 120 cod. strada, nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede» - invece che «puo' provvedere» - alla revoca della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

   riuniti i giudizi:

1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 120,  comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall'art. 3, comma  52,  lettera  a),  della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni  in  materia  di  sicurezza pubblica), nella parte in cui - con riguardo all'ipotesi di  condanna
per reati di cui agli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente  della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,  prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza),  che intervenga in data successiva a quella di rilascio della  patente  di
guida - dispone  che  il  prefetto  «provvede»  -  invece  che  «puo' provvedere» - alla revoca della patente;
2) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 120, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in riferimento agli  artt.  3  e  27  della Costituzione,  dal  Tribunale   amministrativo   regionale   per   il Friuli-Venezia Giulia, con l'ordinanza in epigrafe;
3) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di legittimita' costituzionale dell'art. 120, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 16,  25,  27  e 111  Cost.,  dal  Tribunale  ordinario  di  Genova,  in  composizione monocratica, con l'ordinanza in epigrafe;
4)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita' costituzionale dell'art. 120, commi 1 e 2,  del  d.lgs.  n.  285  del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 11 e  117,  primo  comma Cost., in relazione all'art. 7 della Convenzione per la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4 agosto  1955,  n.  848,  dal  Tribunale  ordinario  di   Genova,   in composizione collegiale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2018.



Sezione curata da: Salvatore Palumbo e Claudio Molteni.
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