Sentenza Corte Costituzionale n. 102 del 17.05.2018 - SemaforoVerde Circolazione Stradale

Vai ai contenuti

Menu principale:

Giurisprudenza > Giurisprudenza 2018
N. 102 SENTENZA 17 maggio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Deturpamento e imbrattamento di beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati fuori dei casi di cui all'art. 635 cod. pen. - Trattamento sanzionatorio. - Codice penale art. 639, primo e secondo comma.
GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.21 del 23-5-2018


La corte costituzionale
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 639, primo e secondo comma, del codice penale, promossi dai Tribunali ordinari  di Milano e di Aosta, con ordinanze del 26 aprile 2016 e del 1° febbraio 2017, iscritte rispettivamente al n. 120 del registro ordinanze  2016 e al n. 85 del registro ordinanze 2017 e  pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25,  prima  serie  speciale,  dell'anno 2016, e n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti l'atto di costituzione di Trenitalia spa, nonche' gli  atti di intervento del Comune di Milano e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica  del  20  marzo  e  nella  camera  di consiglio del 21 marzo 2018 il Giudice relatore ... Omissis ...;
uditi gli avvocati ... Omissis ... per Trenitalia spa, ... Omissis ... per il Comune di Milano e l'avvocato dello Stato ... Omissis ... per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 26 aprile 2016 (r.o. n. 120 del  2016),  il Tribunale ordinario di Milano ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della  Costituzione,   questione   di legittimita'   costituzionale dell'art. 639, secondo comma, del codice penale, nella parte  in  cui prevede che per il deturpamento o l'imbrattamento di beni immobili  o
di mezzi di trasporto pubblici o privati si applica - anche quando il fatto non e' commesso con violenza alla persona o con  minaccia,  ne' in occasione di manifestazioni che si svolgono in  luogo  pubblico  o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 cod.  pen.  - la pena della reclusione da uno a sei mesi  o  della  multa  da euro trecento a euro mille, anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila.
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di una  persona  imputata:  a)  del  delitto  di deturpamento e imbrattamento continuato di cose altrui  (artt.  81  e 639, secondo comma, cod. pen.), per aver  apposto,  con  vernice  non biodegradabile, una scritta su nove immobili siti in varie zone della citta'  di  Milano;  b)  del  delitto  di  danneggiamento   aggravato continuato (artt. 81 e 635, commi  primo  e  secondo,  numero  3,  in relazione all'art. 625, numero 7, cod. pen.),  per  aver  deteriorato tre vetture ferroviarie apponendovi una scritta parimente indelebile, con l'aggravante di aver  commesso  il  fatto su beni  esposti  per necessita' e consuetudine alla pubblica fede  e  destinati,  comunque sia, a pubblico servizio o a pubblica utilita'.
Il rimettente rileva che la responsabilita' dell'imputato  per  i fatti ascrittigli deve ritenersi provata,  all'esito  dell'istruzione dibattimentale. Da questa sarebbe, peraltro, anche emerso che i fatti sono stati commessi senza violenza alla persona o minaccia, fuori  da manifestazioni pubbliche e senza dar luogo a interruzione di  servizi
pubblici o di pubblica necessita'.
Cio' premesso, il giudice a quo reputa che il fatto  oggetto  del secondo capo di imputazione, relativo all'apposizione  della  scritta sulle vetture ferroviarie, debba essere riqualificato anch'esso  come imbrattamento di  cose  altrui,  punibile  ai  sensi  dell'art.  639, secondo comma, cod. pen. Pertanto, con riguardo a tutti i  fatti per cui si procede, il Tribunale rimettente sarebbe chiamato  a  irrogare le sanzioni penali previste dalla disposizione censurata. Non potrebbe essere, infatti,  recepita la  tesi  del  difensore dell'imputato, secondo la quale la parziale abrogazione del reato  di cui all'art. 635  cod.  pen.,  operata  dal  decreto  legislativo  15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con  sanzioni  pecuniarie  civili,  a  norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), avrebbe determinato l'abrogazione  tacita  della  figura  criminosa  prevista dall'art. 639 cod. pen., in quanto speciale rispetto  alla  prima.  A prescindere dal rilievo che tra le due  disposizioni  intercorrerebbe un rapporto, non di specialita', ma di sussidiarieta'  espressa,  non sussisterebbero, comunque sia, i presupposti del  ventilato  fenomeno di  abrogazione  tacita,  ossia  l'incompatibilita'  tra   le   nuove disposizioni e le precedenti o l'introduzione di una nuova legge che regoli l'intiera materia disciplinata dalla legge anteriore.
Di qui, dunque, la rilevanza della questione.
Quanto, poi,  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente osserva come l'art. 2, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 7 del 2016, sostituendo  l'art.  635  cod.  pen., abbia  operato  una   parziale depenalizzazione della fattispecie criminosa, finitima e piu'  grave, del danneggiamento. A seguito  della  novella,  la  condotta  di  chi distrugge,  disperde,  deteriora  o  rende,  in  tutto  o  in  parte, inservibili cose mobili o immobili altrui manterrebbe  -  secondo  il rimettente - rilievo penale  nei  soli casi  in  cui  il  fatto  sia commesso  «con  violenza  alla  persona  o  con  minaccia  ovvero  in occasione di manifestazioni che  si  svolgono  in  luogo  pubblico  o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'articolo 331».
Fuori da tali ipotesi, le condotte di danneggiamento resterebbero soggette a una semplice sanzione pecuniaria civile. Infatti, l'art. 3 del  d.lgs.  n.  7  del  2016 stabilisce  che  «[i]  fatti  previsti dall'articolo  seguente,  se  dolosi,  obbligano,  oltre   che   alle restituzioni e al risarcimento del danno  secondo  le  leggi  civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita». A propria volta, l'art. 4, comma 1, lettera c),  del  medesimo  decreto legislativo sottopone alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila «chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di fuori  dei casi di  cui  agli  articoli  635,  635-bis,  635-ter,  635-quater  e 635-quinquies del codice penale».
Di contro, il censurato art. 639,  secondo  comma,  cod.  pen.  - rimasto invariato - continua a punire indistintamente chi  deturpa  o imbratta beni immobili o mezzi di trasporto, pubblici o privati,  con la pena della reclusione da uno a sei mesi  o  della  multa  da  euro trecento a euro mille.
Ad avviso del giudice a quo, un simile assetto  sanzionatorio  si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost.
Come attesta la clausola di riserva con cui l'art. 639 cod.  pen. esordisce («fuori dei casi preveduti dall'articolo 635»), il reato di deturpamento e imbrattamento  ha carattere  sussidiario  rispetto  a quello di danneggiamento, punendo una forma di  offesa  meno  intensa del medesimo bene giuridico. Il danneggiamento, infatti, richiede  - secondo le indicazioni della giurisprudenza  di  legittimita'  -  che l'agente abbia diminuito in modo apprezzabile il  valore  della  cosa altrui,  o  ne  abbia impedito  l'uso,  mentre  il  deturpamento   o imbrattamento si configura in presenza di una alterazione  temporanea o superficiale della cosa, il cui  aspetto  originario e',  comunque sia, facilmente reintegrabile.
Per effetto della riforma operata dal d.lgs. n. 7  del  2016,  si sarebbe  quindi  prodotto  un  risultato  palesemente  irragionevole, quanto ai fatti commessi senza violenza  alla  persona  o  minaccia, fuori da manifestazioni pubbliche e senza determinare un'interruzione di servizio pubblico o di pubblica necessita'. Chi realizza la forma di offesa piu' intensa dell'interesse protetto - il danneggiamento  - soggiace alla  sanzione  pecuniaria  civile  da  euro  cento  a  euro ottomila; chi realizza quella  meno  intensa  -  il  deturpamento  o l'imbrattamento - e' invece punito con la reclusione  da  uno  a  sei mesi o con la multa da euro trecento a euro mille, e dunque  in  modo piu' severo.
L'intervento attuabile, in  sede  di  sindacato  di  legittimita' costituzionale,  onde  ripristinare  la  razionalita'  del   sistema, sarebbe quello di sottoporre il deturpamento  e  l'imbrattamento  di beni immobili o di mezzi  di  trasporto,  pubblici  o  privati,  alla sanzione pecuniaria  civile  attualmente  prevista  per  i  fatti  di danneggiamento non costituenti reato. Rimarrebbe,  poi,  compito  del giudice far emergere il diverso disvalore delle condotte in  sede  di commisurazione in concreto della sanzione tra il minimo e il  massimo edittale. Tale soluzione, se pure non conforme all'assetto  delineato originariamente  dal  legislatore  -   caratterizzato   da risposte sanzionatorie "scaglionate" per i fatti in questione - consentirebbe, comunque  sia,  di  rimuovere  l'attuale,  arbitraria   sperequazione sanzionatoria,  senza implicare  una  libera rimodulazione   della sanzione per la violazione meno  grave,  non  consentita  alla  Corte costituzionale,   in   quanto   invasiva    della discrezionalita' legislativa. La Corte  potrebbe,  infatti,  «intervenire  secondo  lo schema   delle   "rime   obbligate"»,   utilizzando   come    tertium comparationis la previsione dell'art. 4, comma  1,  lettera  c),  del d.lgs. n. 7 del 2016.
1.2.- Si e' costituita Trenitalia spa, parte civile nel  giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,  in subordine, infondata.
Secondo la parte  costituita,  la  mancata  depenalizzazione  del reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui sarebbe  frutto, non di mera  dimenticanza,  ma di  consapevole  scelta  legislativa: scelta che si sottrarrebbe al sindacato della  Corte  costituzionale, costituendo esercizio non manifestamente irragionevole  o arbitrario dell'ampia   discrezionalita'   spettante   al   legislatore    nella determinazione del trattamento sanzionatorio degli illeciti.
Il d.lgs. n. 7 del 2016 si e' limitato, infatti, a  depenalizzare il solo danneggiamento semplice, contemplato dal previgente art. 635, primo comma, cod. pen. Resta invece punito con la reclusione  da  sei mesi a tre  anni  non  soltanto  il  danneggiamento  attuato  con  le modalita' cui fa riferimento  il  giudice  rimettente,  ma anche  il danneggiamento delle cose indicate dal secondo  comma  del  novellato art. 635 cod. pen., tra cui - per effetto del richiamo all'art.  625, primo comma, numero 7), cod. pen. - le cose esposte  per  necessita', consuetudine  o  destinazione  alla  pubblica  fede,  o  destinate  a servizio pubblico  o  a  pubblica  utilita', come,  ad  esempio,  il materiale ferroviario oggetto  dei  fatti  per  cui  si  procede  nel giudizio a quo.
Sarebbe, pertanto, ben comprensibile la mancata  depenalizzazione della fattispecie del deturpamento o imbrattamento di cose altrui,  e in particolare di beni immobili o  mezzi  di  trasporto:  fattispecie che, se pure produttiva  di  una  lesione  meno  intensa  «a  livello puramente  materiale»  di  quella  recata  dalle  condotte represse dall'art. 635 cod. pen., inciderebbe pero' su una pluralita' di  beni giuridici,  facenti  capo  «non  solo  al   singolo   ma   all'intera comunita'», quali l'igiene e il decoro  urbano.  Il  vigente  testo dell'art. 639 cod. pen. e' frutto, infatti, della riscrittura operata dall'art. 3 della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in materia di sicurezza pubblica), con lo specifico intento di inasprire il trattamento sanzionatorio nei confronti di  atti  vandalici  assai diffusi e idonei a determinare «gravi forme di degrado urbano», tra i quali assume un ruolo di primo piano proprio  la  pratica  cosiddetta del «writing».
La questione sarebbe inammissibile - secondo Trenitalia  -  anche in  ragione  del  carattere  «altamente  "creativo"»  dell'intervento richiesto dal giudice a quo. Il rimettente non lamenta, infatti,  che fattispecie omogenee siano trattate in modo diverso, ma che  condotte meno gravi siano punite piu' severamente di condotte piu' gravi.  In questa  cornice,  la  Corte  costituzionale  non  avrebbe  punti   di riferimento per ridefinire il «compasso edittale»  della  fattispecie prevista dalla  norma censurata,  la  quale,  in  base  alla  stessa prospettiva  del  rimettente,  sarebbe  meritevole  di  una  sanzione inferiore - e non gia' eguale - a quella del danneggiamento semplice.
1.3.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Secondo  la  difesa  dell'interveniente,  la  previsione  di  una sanzione piu' severa per le condotte di deturpamento e imbrattamento, nonostante  la  loro  minore  offensivita'  rispetto  a   quelle   di danneggiamento, sarebbe  giustificata  dall'esigenza  di  contrastare fenomeni di illegalita' diffusa che aggravano il degrado  dei  centri
urbani. Si tratterebbe, dunque, di una scelta di  politica  criminale non manifestamente irragionevole e, come tale,  non  censurabile  per violazione dell'art. 3 Cost.
1.4.- E' intervenuto anche il Comune di Milano, il quale  ritiene la questione  manifestamente  infondata,  in  quanto  basata  su  una analisi  parziale,  e  percio' inesatta,  del  quadro  normativo  di riferimento. Nel denunciare  la  violazione  dell'art.  3  Cost.,  il rimettente avrebbe tenuto conto, infatti, unicamente della previsione del primo comma dell'art. 635 cod. pen., come sostituito  dal  d.lgs. n. 7 del 2016, trascurando completamente quella  del  secondo  comma, che punisce tuttora con la reclusione da sei mesi a tre  anni  chi  - anche in assenza di violenza alla persona o minaccia  e  delle  altre condizioni indicate nel primo comma - danneggia una  serie  di  beni, tra i quali gli immobili  pubblici  o  destinati  a  uso  pubblico  o all'esercizio di un culto, le cose di interesse storico  o  artistico ovunque ubicate, gli  immobili  compresi  nel  perimetro  dei  centri storici, gli immobili i cui lavori di costruzione,  ristrutturazione, recupero o risanamento sono in corso o risultano ultimati, e le altre cose indicate nel numero 7) del primo comma dell'art. 625 cod. pen.
La sperequazione denunciata dal giudice  a  quo  si  rivelerebbe, pertanto, insussistente. Le condotte che determinano  un'offesa  piu' grave (danneggiamento dei beni ora  indicati)  risultano,  infatti, sanzionate con pena piu' severa rispetto  a  quelle  che  causano  un minore nocumento (deturpamento o imbrattamento di beni immobili o  di mezzi di trasporto, pubblici o privati, nonche' di cose di  interesse storico o artistico, puniti dall'art. 639, secondo comma, cod.  pen., rispettivamente, con la reclusione da uno a sei mesi o  la  multa  da euro trecento a euro mille, e con la reclusione da tre mesi a un anno e la multa da euro mille a euro tremila).
1.5.- Trenitalia spa ha depositato una memoria, insistendo  nelle conclusioni gia' formulate.
Nell'atto difensivo,  si  pone  in  particolare  l'accento  sulla disomogeneita' delle fattispecie poste a raffronto dal rimettente, in quanto rispondenti «a finalita' di prevenzione diverse».  Gia'  prima del d.lgs. n. 7 del 2016 i due illeciti erano, del resto, strutturati in modo differenziato: il  danneggiamento  di  immobili  altrui  era,
infatti, punibile a querela, mentre il deturpamento e l'imbrattamento di essi erano perseguibili d'ufficio; tanto l'art. 635, quanto l'art. 639  cod.  pen.  contemplavano, inoltre,  fattispecie  "semplici"  e ipotesi di condotta piu' gravi, per le quali era comminata  una  pena piu'  severa:  queste  ultime  non  erano,  tuttavia,  speculari, ma
congegnate in modo diverso per ciascun illecito. In ogni caso, poi, la  questione  poggerebbe  su  un  presupposto interpretativo errato, non avendo il rimettente affatto  considerato la previsione del secondo comma del vigente art.  635  cod.  pen.,  a mente della quale - indipendentemente dalle modalita' della  condotta - conserva rilevanza penale il danneggiamento di tutto  un  complesso di  cose  altrui.  L'errata  ricostruzione   del   quadro   normativo renderebbe incongrua la pronuncia richiesta alla Corte, rispetto alla stessa prospettazione del giudice  a  quo.  L'ipotetico  accoglimento della questione comporterebbe, infatti, la depenalizzazione di  tutte le condotte di deturpamento  e  imbrattamento  "semplice",  anche  se relative alle cose indicate dal  secondo  comma  dell'art.  635  cod. pen.:    esito,    questo,    irragionevole    proprio    nell'ottica dell'equiparazione sanzionatoria propugnata dal rimettente.
1.6.-  Anche  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   ha depositato  una  memoria,  insistendo  affinche'  la  questione   sia dichiarata non fondata.
L'Avvocatura generale dello  Stato  rimarca,  del  pari,  la  non comparabilita'  delle  due  fattispecie  in  discussione,  a   fronte dell'eterogeneita' degli interessi da esse rispettivamente  protetti: la salvaguardia dell'estetica e della  nettezza  delle  cose  altrui, nell'ipotesi  del  deturpamento  e  dell'imbrattamento;  il  generico interesse   all'inviolabilita'   del   patrimonio,   nel   caso   del danneggiamento.
2.- Con ordinanza del 1° febbraio 2017 (r.o. n. 85 del 2017),  il Tribunale ordinario di Aosta ha sollevato, in riferimento all'art.  3 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639,  primo comma, cod. pen., nella parte in cui stabilisce che  chiunque,  fuori dai casi previsti  dall'art.  635  del  medesimo  codice,  deturpa o
imbratta cose mobili altrui,  e'  punito,  a  querela  della  persona offesa, con la multa fino  a  euro  103,  anziche'  con  la  sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila.
2.1.- Il giudice a  quo  riferisce  di  essere  investito,  quale giudice di appello, del processo penale nei confronti di due persone, imputate dei reati di ingiuria e di deturpamento e  imbrattamento  di cose  altrui,  per  avere,  in  concorso  tra  loro,  imbrattato  una autovettura e offeso l'onore e il decoro del  suo  proprietario, con
atti a carattere dispregiativo. Secondo  l'ipotesi  accusatoria,  gli imputati   avrebbero    sputato    ripetutamente    sul    parabrezza dell'autovettura della persona offesa, lasciando  evidenti  segni  di saliva  lungo  il  vetro,  appeso  al  tergicristallo   del   lunotto posteriore un assorbente igienico  usato  e  imbrattato  di  sostanza rossa - presumibilmente sangue - le maniglie delle portiere anteriori e il vetro della portiera anteriore destra. Fatti,  questi,  commessi il 27 settembre 2009.
Con sentenza del 29 aprile 2016, il  Giudice  di  pace  di  Aosta aveva assolto gli imputati dal delitto di ingiuria,  non  essendo  il fatto piu' previsto come reato a seguito  della  depenalizzazione  di tale figura criminosa disposta dal d.lgs. n. 7 del  2016,  mentre  li aveva condannati alla pena di euro 103 di multa ciascuno -  oltre al pagamento di  una  provvisionale  in  favore  della  persona  offesa, costituitasi parte civile - in relazione al  reato  di  cui  all'art. 639, primo comma, cod. pen.
Avverso  la  sentenza  avevano  proposto  appello  gli  imputati, lamentando che il primo giudice avesse pronunciato  condanna  per  un delitto perseguibile a querela - quale quello  previsto  dalla  norma censurata - pur in difetto di tale condizione di procedibilita',  che avesse erroneamente valutato le prove assunte e che avesse liquidato una provvisionale di importo eccessivo.
Cio' premesso, il rimettente  osserva  come  la  questione  debba ritenersi rilevante, giacche', ove  la  disposizione  denunciata  non fosse dichiarata illegittima nei termini richiesti,  esso  giudice  a quo «potrebbe essere tenuto a confermare la sentenza di primo grado», proprio in relazione al reato della cui  legittimita' costituzionale egli dubita.
Quanto, poi,  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente rileva come, prima delle modifiche introdotte dal  d.lgs.  n.  7  del 2016, la tutela della proprieta', sotto il particolare aspetto  della salvaguardia dell'integrita' delle  cose  rispetto  alle  aggressioni provenienti da terzi, fosse  affidata  intieramente  allo  «strumento penale». In particolare, tale tutela era  demandata  alle  previsioni punitive degli artt. 635 e 639 cod. pen., le quali, anche a mezzo  di un «nutrito  corredo  di circostanze  aggravanti»,  delineavano  una progressione della risposta sanzionatoria  correlata  alla  crescente gravita' delle offese.
Questo quadro e' stato profondamente innovato dal d.lgs. n. 7 del 2016, il cui art. 2, comma 1, lettera l), sostituendo l'art. 635 cod. pen., ha circoscritto la  rilevanza penale  della  condotta  di  chi distrugge,  disperde,  deteriora  o  rende,  in  tutto  o  in  parte, inservibili cose mobili o immobili altrui ai  soli  casi  in  cui  il fatto sia commesso con determinate modalita' di azione  (primo  comma del nuovo art. 635 cod. pen.) o su determinati  beni  (secondo  comma dello stesso art. 635 cod. pen.). In ogni altra ipotesi, le  condotte di danneggiamento soggiacciono, in forza degli artt. 3 e 4, comma  1, lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016, alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila.
Per converso, l'art. 639 cod. pen. - non inciso dalla  novella  - continua a punire, al primo comma, con la multa fino a euro 103  chi, fuori dei casi previsti dall'art. 635 cod. pen., deturpa  o  imbratta cose mobili altrui, mentre al secondo commina tuttora una  pena  piu' severa (reclusione da uno a sei mesi o multa da euro trecento a euro mille) per chi deturpa o imbratta beni immobili o mezzi di  trasporto pubblici o privati.
Ad avviso del giudice a quo, in un simile contesto, la perdurante rilevanza penale delle condotte indicate nel  primo  comma  dell'art. 639 cod. pen. risulterebbe incompatibile con l'art. 3 Cost. Alla  luce  della  clausola  di  riserva  presente  nella   norma censurata e delle indicazioni della giurisprudenza  di  legittimita', il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui  si  connota, infatti,  come  sussidiario  rispetto  a  quello  di  danneggiamento, punendo aggressioni di minore intensita' al medesimo bene  giuridico. Sarebbe, percio', manifestamente irragionevole  che  le  condotte  di deturpamento e imbrattamento continuino a  costituire  reato, quando invece quelle di danneggiamento - che recano un'offesa piu' grave  al patrimonio -  integrano  un  semplice  illecito  civile,  punito  con sanzioni di carattere pecuniario e, dunque, in modo piu' lieve. La   norma   censurata   dovrebbe   essere   ritenuta,    dunque, costituzionalmente  illegittima  nella  parte  in  cui   punisce il deturpamento o l'imbrattamento di cose mobili  altrui  con  la  multa fino a euro 103, anziche' con la sanzione pecuniaria civile  da  euro cento a euro ottomila, prevista dall'art. 4, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016 per i fatti di  danneggiamento  non  costituenti reato ai sensi  degli  artt.  635,  635-bis,  635-ter,  635-quater  e 635-quinquies cod. pen. 2.2.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. Ad avviso dell'interveniente, la questione sarebbe  inammissibile per difetto di adeguata motivazione sulla  rilevanza.  Nell'ordinanza di rimessione, lo stesso giudice a quo ha, infatti, riferito che  gli imputati avevano denunciato, come motivo di appello,  il difetto  di querela: doglianza sulla  quale  il  Tribunale  rimettente  nulla  ha osservato,  malgrado  il  suo  carattere  assorbente.   Discutendosi, infatti, di reato procedibile a querela  della  persona  offesa,  ove questa  fosse  effettivamente  mancata,  sarebbe  divenuto   operante l'obbligo di immediata  declaratoria  della connessa  causa  di  non punibilita', ai sensi  dell'art.  129,  comma  1,  cod.  proc.  pen.: obbligo  che  -  secondo  quanto  chiarito  dalla  giurisprudenza  di legittimita' -  impedirebbe  la  proposizione  di  una  questione  di legittimita' costituzionale, ancorche' finalizzata  a  conseguire  un epilogo assolutorio piu' vantaggioso. Nel merito, la questione risulterebbe, comunque sia, infondata.
Alla Corte e', infatti, precluso il sindacato sulla scelta  delle sanzioni da parte del legislatore, trattandosi di  scelta  basata  su apprezzamenti discrezionali correlati alle specifiche caratteristiche degli illeciti considerati e  sulla  ponderazione  complessiva  degli interessi coinvolti, salvo il caso  in  cui  la  norma  sottoposta  a scrutinio contrasti  in  modo  manifesto   con   il   canone   della ragionevolezza,   comportando   ingiustificabili   sperequazioni   di trattamento fra fattispecie omogenee: ipotesi non  ravvisabile  nella specie. Le due fattispecie poste  a  raffronto  dal  giudice  a  quo  non sarebbero, in effetti, «perfettamente omogenee», essendo connotate  - come  osserva  lo   stesso   rimettente   -   da   una   «progressiva offensivita'». L'art. 635 cod. pen., quale  disposizione  principale, reprime infatti «condotte violente o  plateali»  che  incidono  sulla cosa  altrui,  diminuendone  il  valore  in   modo   apprezzabile   o impedendone l'uso; mentre l'art. 639 cod.  pen., quale  disposizione sussidiaria,  preserva  il  bene  giuridico  da  offese   di   minore intensita', come l'alterazione temporanea o superficiale della cosa. Cio' posto, la scelta del legislatore di prevedere un trattamento sanzionatorio piu' severo per i fatti di deturpamento e imbrattamento di  cose  mobili  sarebbe  ragionevole, trattandosi   di   condotte «aratterizzate  da  iattanza  e  spregio  [...],  che  suscitano  un giudizio di grave riprovazione ed un corrispondente allarme sociale». La disposizione  censurata  costituirebbe,  quindi,  frutto  di  una legittima  opzione  di  politica  criminale,  volta  a  inasprire  la risposta repressiva nei confronti di fenomeni di illegalita'  diffusa e di atti di vandalismo motivati da mero capriccio.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale ordinario di Milano  dubita  della  legittimita' costituzionale dell'art. 639, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede che per il deturpamento  o  l'imbrattamento  di beni immobili o di mezzi di trasporto pubblici o privati si applica - anche quando il fatto non e' commesso con violenza alla persona o con minaccia, ne' in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto  previsto  dall'art.  331 cod. pen. - la pena della reclusione da uno a sei mesi o della  multa da euro trecento a euro mille, anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila.
Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe l'art.  3 della  Costituzione,  sottoponendo  le  condotte  considerate  a  una sanzione piu' severa di quella prevista dall'art. 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n.  7  (Disposizioni  in materia di abrogazione  di  reati  e  introduzione  di  illeciti  con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma  3,  della legge 28 aprile 2014, n. 67) nei confronti di chi - sempre in assenza di violenza alla persona o minaccia e al di fuori  di  manifestazioni pubbliche o della commissione del delitto di cui  all'art.  331  cod. pen. - distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o  in parte, inservibili cose mobili o  immobili  altrui:  condotte,  queste,  che pregiudicano in modo  maggiormente  significativo  il  medesimo  bene giuridico,   con conseguente   manifesta irragionevolezza   della sperequazione sanzionatoria denunciata.
2.- Il  Tribunale  ordinario  di  Aosta  solleva,  a  sua  volta, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, primo  comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che chiunque,  fuori  dai  casi previsti dall'art. 635 del medesimo codice, deturpa o  imbratta  cose mobili altrui e' punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 103, anziche' con la sanzione pecuniaria civile  da  euro cento a euro ottomila.
Il giudice a quo denuncia, del pari, la  violazione  dell'art.  3 Cost., reputando manifestamente irragionevole che le condotte  dianzi indicate siano trattate in modo deteriore  rispetto  a  condotte  che recano un'offesa piu'  intensa  allo  stesso  bene  giuridico,  quali quelle di chi  -  fuori  dalle  ipotesi  previste  dagli  artt.  635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen.  -  distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in  parte,  inservibili  cose mobili o immobili altrui: fatti, questi ultimi, che l'art.  4,  comma 1, lettera c), del d.lgs.  n.  7  del  2016  assoggetta  a  una  mera sanzione pecuniaria civile.
3.-  Le  due  ordinanze   di   rimessione   sollevano   questioni strutturalmente analoghe, relative al regime sanzionatorio dei  fatti di deturpamento e imbrattamento di  cose  altrui  delineato  da  due distinti commi del medesimo articolo del codice  penale.  I  relativi giudizi  vanno  quindi  riuniti  per  essere  definiti  con  un'unica decisione.
4.- Cio' posto, la questione sollevata dal Tribunale ordinario di Milano e' inammissibile.
4.1.- Il Tribunale ambrosiano lamenta,  nella  sostanza,  che  la fattispecie del deturpamento e imbrattamento di beni  immobili  e  di mezzi di trasporto, pubblici o privati, prevista dal  (primo  periodo del) secondo comma dell'art. 639  cod.  pen.  (quale  risultante  per effetto delle modifiche operate dall'art.  3,  comma  3, lettera b, della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni  in  materia di sicurezza pubblica»), non abbia formato oggetto di  un  intervento di parziale depenalizzazione  -  o,  per  meglio  dire,  di  parziale degradazione in "illecito punitivo civile" - omologo a quello attuato dal d.lgs. n. 7 del 2016 sulla fattispecie, finitima  e  piu'  grave, del danneggiamento (art. 635 cod. pen.). L'intervento  cui  fa  riferimento  il  rimettente   si   colloca nell'ambito del complesso di misure intese a deflazionare il  sistema penale, adottate in attuazione delle  deleghe  legislative  conferite dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in  materia  di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione  del  procedimento  con  messa alla prova e nei confronti degli irreperibili). Per il  conseguimento dell'obiettivo si e' fatto ricorso, nell'occasione,  a  due  distinti strumenti.   Il   primo   e'   quello   -   tradizionale   -    della depenalizzazione, cioe' della trasformazione di un insieme  di  reati in illeciti amministrativi: operazione compiuta, in  specie,  con  il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2,  della  legge  28 aprile 2014, n. 67). Il secondo strumento - del tutto innovativo - e' invece quello dell'abrogazione di  alcuni  reati,  con contemporanea sottoposizione dei corrispondenti fatti a sanzioni pecuniarie  civili a  carattere  punitivo,   che   si   aggiungono   all'obbligo   delle restituzioni e del risarcimento del danno secondo le leggi civili.
Tra le figure criminose interessate (peraltro, in modo  parziale) da questo secondo intervento - operato dal d.lgs. n.  7  del  2016  - figura anche il delitto di danneggiamento,  previsto  dall'art.  635 cod. pen.
Il giudice a quo muove, a tal riguardo, dall'assunto  che  l'art. 2, comma 1, lettera l), del d.lgs. n.  7  del  2016,  riscrivendo  la norma incriminatrice ora citata, avrebbe limitato la rilevanza penale del danneggiamento di cose mobili o immobili altrui ai soli  casi  in cui il fatto sia commesso con violenza alla persona o  con minaccia, ovvero in occasione  di  manifestazioni  che  si  svolgono  in  luogo pubblico o aperto al pubblico, o del delitto previsto  dall'art.  331 cod.  pen.  In  assenza di   tali   condizioni,   le   condotte   di danneggiamento resterebbero soggette - secondo il rimettente - a  una semplice sanzione  pecuniaria  civile.  Cio',  in  virtu'  di quanto disposto dall'art. 4, comma  1,  lettera  c),  del  medesimo  decreto legislativo, secondo  il  quale  soggiace  alla  sanzione  pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila chi - con dolo (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016) - «distrugge, disperde, deteriora o  rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di fuori dei casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies del codice penale».
Sulla base di tale premessa,  il  giudice  a  quo  reputa  quindi palesemente irragionevole che l'art. 639, secondo comma, cod. pen.  - lasciato  immutato  dalla  novella -  continui  a  configurare  come delitto, punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da euro trecento a euro mille, il deturpamento o imbrattamento  di beni immobili o di mezzi  di  trasporto,  pubblici  o  privati,  ancorche' realizzato senza violenza alla persona o minaccia e in assenza  delle altre condizioni precedentemente indicate. Alla luce della  clausola  di  riserva  che  figura  nell'incipit dell'art. 639 cod. pen.  («fuori  dei  casi  preveduti  dall'articolo 635»),  la fattispecie   del   deturpamento   e   imbrattamento   si connoterebbe,  infatti,  come  sussidiaria  rispetto  a  quella   del danneggiamento, collocandosi in uno stadio anteriore lungo  la  linea di progressione dell'offesa del medesimo bene giuridico.  Secondo  un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimita', il  reato di danneggiamento si distingue, in effetti, da quello di deturpamento o imbrattamento perche', mentre il primo  produce  una  modificazione della cosa altrui, che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, rendendo cosi'  necessario  un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalita'  della cosa stessa, il secondo determina solo  un'alterazione  temporanea  e superficiale della res, il cui aspetto originario, quale che  sia  la spesa da affrontare, resta, comunque  sia,  facilmente  reintegrabile (ex plurimis, tra le ultime, Corte  di  cassazione,  sezione  seconda penale, sentenza 3 febbraio-3 marzo 2016,  n.  8826;  sezione  quinta penale, sentenza 21 maggio-19 settembre 2014, n. 38574). Sarebbe,  di conseguenza, apertamente contrario al canone della ragionevolezza che le condotte di deturpamento  e  imbrattamento  restino  represse  con sanzioni penali, quando i corrispondenti fatti  di  danneggiamento  - latori di un'offesa piu' grave - vengono sanzionati  solo  sul  piano civile.
Di qui la richiesta, rivolta a questa  Corte,  di  una  pronuncia sostitutiva, che surroghi le sanzioni  penali  previste  dalla  norma censurata - quante volte si discuta di fatto commesso senza  violenza alla persona o minaccia e in difetto delle altre condizioni a  queste assimilate - con  la  sanzione  pecuniaria  civile  prevista  per  il
danneggiamento non costituente reato.
4.2.-  L'assunto  "di  partenza"  del   rimettente   -   riguardo all'attuale perimetro di rilevanza penale  del  danneggiamento  -  si rivela,  tuttavia,  inesatto,  in quanto frutto  di   una   lettura incompleta del nuovo testo dell'art. 635 cod. pen. In ossequio alle indicazioni della legge di delegazione (art.  2, comma 3, lettera a, numero 5, della legge n. 67 del 2014), il  d.lgs. n. 7 del 2016 ha, infatti, espunto dal novero  dei  fatti  penalmente significativi solo quelli  che  integravano  il  vecchio  delitto  di danneggiamento semplice, previsto dal primo comma del previgente art. 635 cod. pen., trasformando correlativamente le pregresse ipotesi  di danneggiamento aggravato, delineate dal secondo comma, in fattispecie autonome di reato.
In  questo  contesto,  il  danneggiamento  continua,  quindi,   a costituire illecito penale - punito con pena piu'  severa  di  quella prevista dalla norma censurata (reclusione da sei mesi a tre anni)  - non solo se commesso  con  le  modalita'  di  azione  alle  quali  fa riferimento il rimettente (primo comma del nuovo art. 635 cod.  pen., corrispondente ai  numeri  1  e  2  del  secondo  comma  della  norma anteriore), ma anche, e comunque sia, se avente ad oggetto tutta  una  serie di beni, analiticamente elencati (secondo comma del nuovo  art. 635 cod. pen., corrispondente ai numeri 3, 4, 5 e 5-bis  del  secondo comma della norma sostituita).
Agli odierni fini, viene in particolare rilievo la previsione del numero 1) del secondo comma del  vigente  art.  635  cod.  pen.,  che assoggetta alla pena dianzi indicata chi  -  indipendentemente  dalle condizioni previste dal primo comma - distrugge, disperde,  deteriora o rende, in  tutto  o  in  parte,  inservibili  «edifici  pubblici  o destinati a uso pubblico o  all'esercizio  di  un  culto  o  cose  di interesse storico  o  artistico  ovunque  siano  ubicate  o  immobili compresi nel perimetro dei centri storici,  ovvero  immobili  i  cui lavori  di  costruzione,  di  ristrutturazione,  di  recupero  o   di risanamento sono in corso o risultano ultimati  o  altre  delle  cose indicate nel numero 7) dell'articolo 625».
Il richiamato numero 7) dell'art. 625 cod. pen.  prevede,  a  sua volta, una circostanza aggravante speciale del delitto di  furto  ove il fatto sia commesso (oltre che «su  cose  esistenti  in  uffici  o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento») su cose «esposte per necessita' o per consuetudine  o  per destinazione alla pubblica fede, o destinate a  pubblico  servizio  o  a  pubblica utilita',    difesa    o    reverenza».    Secondo     l'orientamento giurisprudenziale predominante,  tale  disposizione  deve  ritenersi riferibile - anche per quanto attiene al genus  delle  cose  «esposte per necessita' o per consuetudine o per destinazione  alla  pubblica fede» - non soltanto ai beni mobili, ma anche ai  beni  immobili.  Ai fini dell'applicazione della norma,  infatti,  deve  aversi  riguardo alla qualita', alla destinazione e alla condizione delle cose, e  non anche alla natura (mobiliare od immobiliare) delle stesse, che rileva unicamente  al  fine  della realizzazione  del  delitto   di   furto (ovviamente ipotizzabile soltanto per i beni mobili), ma non anche in rapporto al  danneggiamento  (per  tutte,  tra  le  molte, Corte  di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 17 novembre-1°  dicembre 2016, n. 51294; sezione seconda penale, sentenza 12  maggio-5  giugno 2009, n. 23550; sezione seconda penale, sentenza 20 novembre  2003-27 gennaio 2004, n. 2889). Vi e', dunque, in conclusione, un'ampia gamma  di  ipotesi  nelle quali il danneggiamento di beni immobili  o  di  mezzi  di  trasporto pubblici o privati - vale a dire  dei  beni  il  cui  deturpamento  o imbrattamento e' penalmente represso dal denunciato art. 639, secondo comma, cod. pen.  -  continua  a  costituire  illecito  penale  (piu' severamente punito), anche se realizzato senza violenza alla persona o minaccia o condizioni consimili.
4.3.- A fronte  di  cio',  il  petitum  del  rimettente  viene  a risultare, quindi, incoerente con il postulato fondante il dubbio  di legittimita' costituzionale, giusto il quale sarebbe  manifestamente  irragionevole  prevedere  sanzioni  penali  per  il  deturpamento   e  l'imbrattamento  di  cose  altrui  in  situazioni  nelle   quali   il danneggiamento delle medesime cose e' soggetto a  una  mera  sanzione pecuniaria  civile.  In  questa  prospettiva,   infatti,   l'invocata declaratoria  di  illegittimita' costituzionale   dovrebbe   essere limitata ai casi in cui il deturpamento o l'imbrattamento di immobili o di mezzi di trasporto avvenga, non solo in assenza delle modalita' di azione indicate nel primo comma del nuovo art. 635 cod.  pen.,  ma altresi' su beni diversi da quelli elencati dal secondo comma.
La rilevanza nel giudizio a quo di una  simile  questione  resta, peraltro, tutta da dimostrare.
Di certo, la questione non sarebbe rilevante in rapporto ai fatti oggetto del secondo dei due capi di  imputazione  che  il  rimettente riferisce essere contestati all'imputato: vale a dire,  con  riguardo  all'imbrattamento mediante vernice di tre vetture ferroviarie che  sitrovavano collocate in stazioni, scali ferroviari  o  depositi. Tali vetture sono,  infatti,  beni  destinati  a  pubblico  servizio  o  a pubblica  utilita',  e  per  di  piu'  esposti   per   necessita'   e consuetudine  alla   pubblica   fede. Di   conseguenza,   il   loro danneggiamento conserva senz'altro rilievo penale. Con riguardo ai fatti oggetto del primo  capo  di  imputazione  - l'imbrattamento di nove immobili ubicati in varie zone del Comune  di Milano  -  occorrerebbe  appurare,  affinche'  la   questione   possa ritenersi rilevante, che i beni imbrattati non ricadano in alcuna tra le  numerose  categorie  di  immobili  il  cui  danneggiamento  resta anch'esso tuttora sanzionato penalmente dall'art. 635, secondo comma, numero 1), cod. pen.: in particolare, che si tratti di  immobili  non compresi nel perimetro dei centri storici, non pubblici  o  destinati ad uso pubblico o all'esercizio di un culto, ne' oggetto di lavori di costruzione, ristrutturazione, recupero  o  risanamento  in  corso  o ultimati, e neppure di immobili esposti alla  pubblica  fede (almeno quanto  alle  parti  imbrattate).  Tali  circostanze  non   emergono, peraltro, dall'ordinanza di rimessione, la quale non reca indicazioni di sorta al riguardo (anzi, rispetto all'immobile di  proprieta'  del Comune di Milano, risulta  il  contrario,  discutendosi  di  edificio pubblico).
4.4.- La  questione  va  dichiarata,  dunque,  inammissibile  per erronea  e  incompleta  ricostruzione   del   quadro   normativo   di riferimento da parte del giudice rimettente, alla quale  si  connette l'inadeguatezza della motivazione sulla rilevanza.
Le ulteriori eccezioni di inammissibilita' formulate dalla  parte costituita Trenitalia spa - relative  all'asserita  insindacabilita', da parte di questa Corte,  della  scelta sanzionatoria  operata  nel  frangente dal legislatore, in quanto non manifestamente irragionevole (eccezione che attiene, peraltro, piu' propriamente al  merito  della
questione),   nonche'   al   carattere,   in   assunto,    "creativo" dell'intervento richiesto dal giudice a quo - restano assorbite.
5.- Una ragione di  inammissibilita'  similare  e'  riscontrabile anche in rapporto alla questione sollevata dal Tribunale ordinario di Aosta, che investe la previsione punitiva del primo  comma  dell'art. 639 cod. pen., relativa  al  deturpamento  o  imbrattamento  di  beni mobili (per il quale e' prevista la multa fino a 103 euro).
5.1.- Nell'illustrare la nuova configurazione assunta dal delitto del danneggiamento a seguito del d.lgs. n. 7 del 2016, il  giudice  a quo ha, in verita', correttamente richiamato tanto la previsione  del primo comma, quanto quella del secondo comma del novellato  art.  635 cod. pen. E, pero', non ne ha tratto le dovute conseguenze al momento di formulare la propria richiesta.
In questo caso, l'incoerenza "per eccesso" del  petitum  rispetto al postulato che fonda la doglianza (per cui  sarebbe  manifestamente irragionevole che il deturpamento  e  l'imbrattamento  costituiscano reato, quando invece il danneggiamento soggiace solo a  una  sanzione civile) risulta persino piu'  marcata.  Il rimettente  ha,  infatti, chiesto a questa Corte di trasformare sic et simpliciter il reato  di cui all'art. 639,  primo  comma,  cod.  pen.  in  "illecito  punitivo civile", senza alcun riferimento limitativo ne' alle modalita'  della condotta,  ne'  all'oggetto  materiale  della  stessa:  laddove,  per converso, appare evidente - per quanto in precedenza osservato - che, in base a quella premessa, la pronuncia sostitutiva  dovrebbe  essere circoscritta ai soli fatti di deturpamento o  imbrattamento commessi con modalita' o su cose diverse da  quelle  indicate  nei  primi  due commi dell'art. 635 cod. pen.
Neppure il  Tribunale  ordinario  di  Aosta  ha,  d'altro  canto, offerto gli elementi per verificare se la ipotetica  declaratoria  di illegittimita' costituzionale, "ritagliata"  in termini  logicamente coerenti  con  il  suo  postulato  fondante,  risulti  effettivamente rilevante nel processo principale. Il giudice a quo non  precisa,  in specie, se il fatto di imbrattamento per cui  si  procede  sia  stato commesso  senza  violenza  alla  persona  o  minaccia  o   condizioni assimilate, ne' - soprattutto - se il  bene imbrattato  esuli  dalla platea di quelli enumerati dal secondo comma dell'art. 635 cod. pen. Nel    giudizio    principale    si    discute,    in    effetti, dell'imbrattamento di un'autovettura e tra le ipotesi nelle quali  il danneggiamento  conserva  rilevanza   penale   rientra,   come   gia' ricordato, quella del danneggiamento commesso su cose  esposte,  per necessita', per consuetudine o per destinazione, alla  pubblica  fede (art. 635, secondo comma, numero  1,  in  riferimento  all'art.  625, primo comma, numero 7, cod. pen.). Secondo un  consolidato  indirizzo della  giurisprudenza  di  legittimita',   le   autovetture   debbono considerarsi  cose  esposte  alla pubblica  fede   allorche'   siano parcheggiate sulla pubblica via, o anche in luogo privato, ma  aperto al pubblico o, comunque sia, facilmente accessibile da  chiunque (ex plurimis, Corte di cassazione,  sezione  quinta  penale,  sentenza  6 dicembre  2016-8  maggio  2017,  n.  22194;  sezione  quarta  penale, sentenza 7-29 dicembre 2016, n. 55227). Cio', in linea con  la  ratio legis, consistente nella volonta' di reprimere con maggior rigore  la lesione dell'affidamento che il proprietario o possessore  si  trova costretto a riporre nel rispetto da parte dei consociati  delle  cose lasciate costantemente, o per un certo tempo, senza  custodia  (Corte di cassazione, sezione seconda penale, 3 febbraio-3  marzo  2016,  n. 8826; sezione seconda penale, 9  dicembre  2008-9  gennaio  2009,  n. 561). Dunque, il danneggiamento di autovetture parcheggiate nei  modi dianzi indicati costituisce tuttora reato (in questo senso, Corte  di cassazione, sezione settima penale, ordinanza  14  novembre  2017-25 gennaio 2018, n. 3592).
Ne deriva che, nel caso di specie, la questione  -  correttamente circoscritta  -  risulterebbe  rilevante   solo   qualora,   all'atto dell'imbrattamento, l'autovettura  della persona  offesa  non  fosse parcheggiata nella pubblica via, ovvero in luogo  privato  aperto  al pubblico o, comunque sia, agevolmente accessibile:  circostanza  che, peraltro, non consta  dall'ordinanza  di  rimessione,  la  quale  non fornisce alcuna indicazione riguardo al luogo  in  cui  l'autovettura imbrattata si trovava al momento del fatto.
5.2.- In confronto alla questione in esame, l'insufficienza della motivazione  sulla  rilevanza  sussiste,  peraltro,  anche  sotto  un ulteriore e distinto profilo.
L'autovettura e', infatti, un bene riconducibile, per sua natura, al genus  dei  «mezzi  di  trasporto  pubblici  o  privati»,  il  cui deturpamento o imbrattamento e' punito (unitamente a quello dei  beni immobili), non gia' dal censurato  primo  comma  dell'art.  639  cod. pen., ma (e in modo piu' rigoroso)  dal  primo  periodo  del secondo comma dello stesso articolo. Tale previsione punitiva - gia'  vigente alla data di commissione del fatto per cui si procede nel giudizio  a quo (27 settembre 2009), essendo stata introdotta dalla legge  n.  94 del 2009 (entrata in vigore l'8 agosto 2009) - prevale evidentemente, in parte qua, in quanto maggiormente specifica, su quella  del  primo comma, riferita alla generalita' dei beni mobili.
Il Tribunale rimettente -  chiamato  a  occuparsi  della  vicenda quale giudice di appello avverso una sentenza del giudice di pace che aveva condannato gli imputati per il reato  di  cui  al  primo  coma dell'art. 639 cod. pen. - non ha, tuttavia, indicato le  ragioni  per quali non abbia ritenuto di  dover  riqualificare  giuridicamente  il fatto, inquadrandolo sotto una previsione punitiva diversa da  quella censurata e primo visu  piu'  pertinente:  operazione  la  cui  ovvia conseguenza sarebbe quella di rendere irrilevante (sotto  il  profilo dell'aberratio ictus) la questione  sottoposta  all'esame  di  questa Corte.
5.3.- Anche la questione sollevata  dal  Tribunale  ordinario  di Aosta va dichiarata, dunque, inammissibile. L'ulteriore   eccezione   di   inammissibilita'   formulata dal
Presidente del Consiglio dei ministri - legata all'omessa motivazione del giudice a quo in ordine  al  motivo  di  appello  degli  imputati inteso a denunciare il difetto di querela - rimane assorbita.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

   riuniti i giudizi:

1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita' costituzionale dell'art.  639,  secondo  comma,  del  codice  penale, sollevata,  in  riferimento  all'art.  3 della   Costituzione,   dal Tribunale ordinario di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita' costituzionale dell'art. 639, primo comma, cod. pen.,  sollevata,  in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario  di  Aosta  con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.




Sezione curata da: Salvatore Palumbo e Claudio Molteni.
DISCLAMER: Il testo della presente norma non riveste carattere di ufficialità e non sostituisce in alcun modo quello pubblicato in G.U.  che ne costituisce la pubblicazione ufficiale.
Vietata la riproduzione, anche parziale, del presente contenuto senza la preventiva autorizzazione degli amministratori del portale.

Torna ai contenuti | Torna al menu